giovedì 23 luglio 2009


Riporto alcune osservazioni di chi si ritrova a combattere come me con le difficoltà legate alla dislessia:

"coraggio c'è una bella società da risvegliare
Dobbiamo combattere con quelli che reputano la dislessia una malattia mentale, quelli che pensano sia una patologia, quelli che la vedono come un disabilità, quelli che dicono che i dislessici sono curati con terapie farmacologiche....E' una lotta molto dura, che va combattuta da molti fronti e io non intendo fare sconti a nessuno... sia ben chiaro!Definire un dislessico disabile è discriminante e offensivo per chi disabile lo è davvero...Poi se vogliamo fare conti opportunistici, perché magari ci danno la 104... liberi di farlo... ma sappiate che ai bambini resta il marchio a vita...
Disabilità è un termine che ha un significato ben preciso nel senso comune delle cose e, a questo punto della nostra battaglia culturale, dobbiamo anche sgomberare il campo da fraintendimenti linguistici. E' vero che il prefisso "dis" applicato a tutti i DSA è negativo e nega una certa capacità. Sappiamo anche che nel linguaggio attuale è stato addirittura introdotto il concetto di "diversamente abili" per i disabili.
Sgomberiamo il campo da equivoci e parliamo di disturbi, disagi, ma molto meglio ancora, di particolarità.Il DSA ha delle specificità proprie di origine biologica (mi pare molto appropriato il paragone con gli albini), che lo differenziano dagli altri e non ha disabilità, ma difficoltà ad adeguarsi agli strumenti di apprendimento che tradizionalmente sono accettati come immodificabili nella nostra società.Così come esistono immodificabili concezioni mediche e culturali, che spesso, e la storia ce lo insegna, finiscono per essere oscurantiste e non riescono a comprendere che possano esistere nuove frontiere della scienza, che hanno scoperto e stanno scoprendo interpretazioni diverse da quelle tradizionali.Ecco dove appunto deve intervenire la battaglia culturale. L'apprendimento è fatto di dinamiche, relazioni e strumenti che andrebbero ridiscussi e non accettati come indiscutibili. Alcuni sono addirittura obsoleti, non più adatti ai nostri tempi. Ridicoli... Gli strumenti compensativi sono chiamati in questa maniera, perché esiste ancora un'egemonia culturale che vuole tali strumenti solo come alternativi e a disposizione di soggetti disturbati, non normali, che devono compensare le loro carenze.E quindi, sono d'accordo con te, tale terminologia assume solo un significato transitorio, in progress, visto che la piena integrazione dei soggetti DSA è lontano da venire. Ma nello stesso tempo è necessario cominciare e mettere dei paletti e a far intendere la natura del "problema".Mi sembra, tra l'altro, importante attrarre l'attenzione sul fatto che ogni DSA ha sue particolarità, ha sue potenzialità inespresse e che ogni DSA differisce dagli altri DSA. Quindi non è il dislessico a doversi adattare alla cultura egemone, attraverso l'ausilio degli strumenti compensativi, ma è la società che DEVE adattarsi ai dislessici e rendersi disponibile a costruire, per ognuno, un percorso di apprendimento personalizzato, attraverso quegli strumenti che meglio si adattano al singolo soggetto, per favorirne il dispiegamento delle potenzialità inespresse."

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