giovedì 14 gennaio 2010



LA DISLESSIA, LIBERA DA PREGIUDIZI

Da quando in Italia finalmente anche i media hanno iniziato a parlare di dislessia e
DSA (disturbi specifici di apprendimento) e soprattutto da quando è partito l’iter
legislativo di una legge nazionale a tutela dei bambini e ragazzi dislessici, ci si imbatte nella pubblicazione di lettere firmate da persone, spesso insegnanti, che intervengono sul delicato tema della dislessia con estrema approssimazione e superficialità,dimostrando non solo di non conoscere il problema ma soprattutto di non volerlo capire.
Come mamma di un bambino dislessico, potrei consigliare a questi signori,soprattutto
se insegnanti, di avere un atteggiamento un po’ più umile e rispettoso nei confronti di bambini che soffrono e che conducono ogni giorno una battaglia per portare avanti il loro difficile percorso di apprendimento. Magari, se questi signori si avvicinassero al problema dopo essersi adeguatamente documentati (e la bibliografia scientifica è molto ampia in Italia per non parlare dell’estero) potrebbero sviluppare un’opinione che, per quanto personale, possa almeno essere al riparo da banalissimi luoghi comuni. Ma nutro ben poche speranze.
Come mamma di un bambino dislessico, vorrei infatti soprattutto lasciare alla mia personale e diretta esperienza il compito di spiegare perché è così importante per il futuro di molti giovani riconoscere quanto prima e saper affrontare senza pregiudizi il problema della dislessia.
Mio figlio, che ora ha 10 anni e ha concluso la quarta elementare, è sempre stato fin da piccolo un bambino intelligente, attento, interessato e spigliato. Sempre pronto ad imparare, a capire, a conoscere, tanto che fino ai 6 anni i suoi giochi preferiti erano i libri, divorati con gli occhi, letti con la mente o con l’aiuto di un adulto.
Eppure, nonostante le grandi aspettative, la sua prima esperienza scolastica è stata un disastro: non riusciva a scrivere correttamente, a fare le cornicette, a tenere la riga, la lettura era lentissima e stentata, invertiva le lettere e i numeri, colorava male e via dicendo.
Per molte delle attività scolastiche non dimostrava alcun interesse e si era fatto via via sempre più scontroso, irritabile e cupo. Soprattutto aveva perso il sorriso. Ed aveva invece acquisito tutta una serie di malesseri ricorrenti tra cui mal di pancia,intolleranze alimentari, pianti depressivi. Un vero disastro, tanto da renderlo ai nostri occhi di genitori addirittura un bambino irriconoscibile. A rincarare la dose le note sui quaderni e i continui richiami delle insegnanti per la pigrizia, il disinteresse, la deconcentrazione, la superficialità, la svogliatezza. Cosa era successo? Cosa aveva trasformato nostro figlio allegro, positivo e attento in un bambino triste scolasticamente “asino".
Solo ed unicamente grazie alla nostra caparbietà di genitori spinti dalla volontà di capire e comprendere, dopo un percorso certo non facile e senza la minima collaborazione da parte della scuola, abbiamo finalmente scoperto che nostro figlio poteva essere dislessico. Dico “poteva” perché prima dell’inizio della terza elementare i neuropsichiatri formulano semplicemente un sospetto di dislessia, riservandosi di confermarne la diagnosi più avanti. Questa prudenza è motivata dal fatto che in alcuni bambini possono verificarsi dei ritardi e delle lentezze di apprendimento che poi si risolvono gradatamente nel corso della seconda elementare.
Mio figlio, invece, dopo approfonditi test che si sono sviluppati in numerosi incontri, è stato poi, in terza elementare, definitivamente diagnosticato con disturbi specifici di apprendimento, in particolare dislessia e disgrafia di grave entità abbinate a disortografia e discalculia più lievi. Da precisare che, invece, il quoziente intellettivo è superiore alla media. E’ quindi un bambino molto intelligente ma che non riesce a leggere, se non lentamente e con uno sforzo enorme, che non riesce a produrre un segno grafico soddisfacente, che non riesce a scrivere correttamente. Non riesce quindi a fare quello che per tutti gli altri bambini è facile, naturale e soprattutto automatico. Eppure può imparare, comprendere e capire, anche meglio di altri bambini, sempre che l’apprendimento non passi attraverso le attività del leggere e scrivere. E’ un bambino dalle enormi potenzialità che però, all’interno di una scuola fondata sulla letto-scrittura se gestita da insegnanti con metodologie didattiche rigide e poco inclini ad un approccio individualizzato, sarebbe destinato all’insuccesso scolastico.
Conoscere il problema reale di nostro figlio ha consentito a lui di liberarsi da un peso e da un senso di colpa ed inadeguatezza che lo stavano paralizzando e a noi genitori, invece, di intervenire precocemente con appropriati interventi di riabilitazione logopedica e con esercitazioni specifiche a casa nonchè di fare tutte le scelte necessarie per poterlo supportare adeguatamente, anche sotto il profilo dell’autostima, messa pericolosamente in crisi. E così, gradatamente, con tanto impegno, con l’aiuto di nuove insegnanti sensibili e preparate e con il prezioso supporto dell’AID (l’Associazione Italiana Dislessia, che non riuscirò mai a ringraziare abbastanza), abbiamo recuperato il bambino felice di un tempo, nonostante debba comunque fare tutti i giorni i conti con la sua disabilità.
Ma ha imparato ad accettare e conoscere i suoi limiti ed anche ad utilizzare strumentiche lo facilitano nelle attività per lui problematiche. Come gli occhiali per un miope o la carrozzina per un disabile motorio, ha imparato ad usare bene, quando necessario, il computer per leggere più velocemente e scrivere più correttamente, riducendo così il suo gap nei confronti dei compagni. Riacquistando fiducia in se stesso ha anche iniziato a superare la paura della parola scritta tanto che adesso, nonostante la sua lettura sia molto stentata, ha riscoperto il piacere di leggere qualche pagina del suo libro preferito prima di addormentarsi. Vederlo a 10 anni, dopo tanta fatica e sofferenza, con in mano un libro, il suo caro amico d’infanzia, è stata per noi un’emozione indescrivibile e per lui un grande traguardo.
Ha anche imparato ad accettare la sua diversità e a combattere, se necessario, per essere rispettato nell’ambiente scolastico. Legge faticosamente, scrive male, fa errori.
Ma ha una buona pagella ed è uno dei più bravi della classe in geografia, storia e scienze.
E c’è qualcuno che ha il coraggio di sostenere che sarebbe invece meglio fare finta di niente, non “etichettare”, ignorare il problema e magari incolpare la scuola di non saper insegnare o la famiglia di non saper educare?
Auguro a mio figlio e a tutti i bambini e ragazzi dislessici del mondo di non trovare mai lungo la propria strada, già tanto faticosa, persone così incapaci di comprendere. Per loro non c’è una diagnosi. Si chiama forse, semplicemente, ignoranza. Ed è ben peggio della dislessia.

Vicenza, 15 luglio 2009

Autorizzo alla libera diffusione e pubblicazione

Laura - mamma di un bambino dislessico

laura@quidonline.it

http://www.sostegno.blogscuola.it/wp-content/uploads/2009/08/lettera-aperta-la-dislessia-libera-da-pregiudizi.pdf

2 commenti:

  1. grazie per essere passata ed aggiunta nel mio blog sono argomenti che mi interessano il campo neurologico è un mondo da scoprire ancor oggi ciao leggerò al più presto i tuoi post ....Marianna

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